La Lanterna del Popolo

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Chiesa Madre ieri ed oggi:

i recenti restauri creano edifici tutti uguali

Tinteggiature oscene e fuori luogo rischiano di lasciare in eredità edifici che hanno perso la loro unicità

 

© - La Lanterna del Popolo (2024)

di Domenico Basile

Dopo il disastroso restauro dell’ex Monastero del Soccorso di cui abbiamo parlato nel mese scorso, torniamo a parlare di beni culturali e lo facciamo occupandoci della Chiesa Madre di Carovigno.
Nei mesi scorsi la Chiesa Madre è stata oggetto di meritevoli lavori di restauro dal momento che parliamo della più antica chiesa esistente sul territorio.
In effetti la Chiesa Madre soffre e continuerà a soffrire negli anni a venire del problema dell’umidità ascendente, quella che, per intenderci, partendo dalle fondamenta del fabbricato, va a minare le fondamenta dell’edificio di culto.
La Chiesa Madre necessitava anche di interventi mirati alla pulizia dalle facciate ed alla protezione dagli agenti atmosferici.
Ebbene gli interventi effettuati purtroppo non soddisfano affatto quelle che erano le necessita dell’edificio e non ne hanno risolto le problematiche.
In particolare nulla è stato fatto contro il fenomeno dell’umidità ascendente, tanto che è sufficiente uno sguardo sommario per osservare la colorazione più scura che caratterizza i primi 2 metri di altezza, e ciò significa che questo fenomeno non è stato arrestato e continuerà a corrodere dalle fondamenta la cinquecentesca Chiesa Matrice.
E’ possibile che una civiltà in grado di connettersi col mondo intero e capace di intraprendere viaggi interplanetari non sia in grado di porre in essere azioni finalizzate all’eliminazione, o almeno alla riduzione, del fenomeno dell’umidità montante che inesorabilmente finirà per distruggere questo bene prezioso?
Noi crediamo che tutto ciò sia impossibile ed inammissibile.
Crediamo piuttosto che, come sempre accade, i soldi destinati ai restauri ed agli interventi di ristrutturazione non siano stati effettuati seguendo i giusti criteri di conservazione del manufatto oggetto di interventi.
Si ha quasi l’impressione che gli interventi vengano effettuati non con lo spirito di voler risolverete un gravosa situazione, ma più semplicemente con lo spirito di spendere il denaro pubblico destinato per l’esecuzione dei lavori.
Inoltre sembra assurdo riscontrare che a fronte di qualsiasi intervento effettuato con i piedi non ci sia mai né la volontà, né la capacità di saper individuare un responsabile dei lavori effettuati.
Vengono nominati ogni volta fior di architetti e di ingegneri il cui unico scopo sembra quello di incassare denaro pubblico per la redazione del progetto e per aver assunto la direzione dei lavori, architetti e ingegneri a cui personalmente non affiderei neppure la costruzione di un pollaio in territorio rurale.
Ma non basta, perché a queste modeste considerazioni vanno ad aggiungersi altri rilievi frutto di una attenta osservazione dei beni oggetto di restauro.
E’ vero che i carovignesi hanno poca coscienza in materia di beni culturali, così come è vero che hanno scarsa competenza in materia di restauro, ma vi invitiamo ad osservare pochi monumenti per poter giungere alle stesse modeste conclusioni a cui siamo giunti noi.
Prendiamo per esempio la ristrutturazione della Chiesa del Carmine, i cui lavori furono eseguiti qualche anno fa e che ne hanno stravolto la colorazione originaria: al termine dei lavori di restauro la chiesa è stata tinteggiata con una miscela colorata che ha dato uniformità di colore rendendola diversa.
La stessa sorte toccò alla Chiesa dell’Addolorata in Via Nazario Sauro che, affidata alla stessa persona in termini di progettualità e direzione lavori, subì la stessa sorte con una colorazione del tutto nuova, molto simile a quella della Chiesa del Carmine, senza peraltro risolvere i problemi di umidità ascendente.
Ed ecco che ci ritroviamo ancora una volta ad assistere alla stessa tecnica anche per la Chiesa Madre che ha abbandonato il colore tipico del tufo o della pietra antichizzata per incarnare quella di un pallido color salmone in duplice tonalità che non le apparteneva minimamente.
E’ chiaro che c’è senz’altro qualcosa che non va in questi restauri, ed in particolar nelle tecniche adottate in corso d’opera.
Si ha quasi l’impressione che si stia adottando una metodica che va nella direzione della standardizzazione ostinata del bene oggetto di restauro.
Sembra quasi che si stiano creando dei veri e propri “cloni monumentali” nei quali il bene non sia l’oggetto del restauro, che deve essere preservato nella sua bellezza e nella sua singolarità, ma semplicemente un edificio sul quale sperimentare nuove tecniche tese a renderlo più pulito, più uniforme, più gradevole.
E in tutto questo la Soprintendenza ai Beni Culturali appare del tutto assente venendo meno alla sue prerogative istitutive di tutela.
Lo stesso dicasi per l’Ufficio Tecnico comunale che avalla e non contesta minimamente alcun intervento posto in essere dalla direzione lavori.
Orbene c’è da sperare che a nessun Sindaco venga mai in mente né oggi né mai di sottoporre il Castello Dentice di Frasso a nuovi interventi di restauro, poiché se la parola restauro deve significare trasformare la torre a mandorla in una torre color salmone o aragosta, soltanto per il gusto di eliminare muschi e licheni, o per dargli una “rinfrescata” è meglio che tutto rimanga così.
Cittadini svegliatevi dal vostro atavico torpore, perché se così non sarà, i nuovi scienziati del restauro non vi lasceranno neppure un bene culturale di cui vantarvi e da poter tramandare nella sua unicità alle nuove generazioni
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